lunedì 20 dicembre 2010

C'era una volta un giardino

Franca Pinto Minerva

C’era una volta un giardino,
era il meraviglioso giardino in cui cresceva l’albero della pedagogia. Le radici dell’albero pedagogico affonda-vano nell’humus della riflessione critico-problematica, dal fusto si diramavano i rami dei saperi pedagogici e delle pratiche educative, rami carichi di fiori e di frutti. Assennati giardinieri garantivano la rigogliosità del giar-dino grazie allo scambio vitale che si realizzava tra il tutto e le parti; terreno, radici, fusto e rami non solo erano elementi costitutivi essenziali del giardino ma tutti si alimentavano della linfa vitale che dalle radici fluiva verso il fusto e da questo alle sue più minute articolazioni.
La nostra metafora è chiaramente tesa a indicare le scienze dell’educazione come diramazioni della pedagogia generale (in quanto scienza critica e problematica della modificabilità umana e della trasformabilità socio-culturale). Tale metafora tuttavia non mira a caratterizzare la pedagogia come mero supporto estrinseco per i suoi rami, il fusto è l’origine dei rami così come questi sono le propaggini del fusto stesso. La pedagogia non è dunque altra cosa rispetto all’insieme articolato delle scienze e della formazione. Con ciò – si badi - non intendiamo affatto dire che non vi sarebbe una pedagogia generale oltre e al di là delle singole scienze umane e della formazione e che non vi sarebbe più bisogno di conservare quel campo di ricerca e di insegnamento che chiamiamo pedagogia generale (il fusto) accanto alle molteplici scienze umane e dell’educazione (i rami).
Per fugare ogni equivoco, il senso della nostra metafora va dunque così precisato. La pedagogia gene-rale, così come noi l‘intendiamo, è l’insieme delle scienze dell’educazione, ma non si riduce certo alla loro somma. La pedagogia generale non è una semplice introduzione o ricapitolazione delle scienze dell’uomo e dell’educazione, e non è affatto identificabile con l’odierna pedagogia sociale. La sua funzione è invece quella di problematizzare i postulati, le argomentazioni, i risultati di tutte le scienze dell’uomo (comprese le scienze della formazione). La pedagogia generale non è nemmeno soltanto un’epistemologia delle scienze umane: essa infatti non problematizza soltanto queste scienze, ma anche le ideologie, le credenze e le concezioni (non scientifiche) che concernono l’uomo e l’educazione. Essa analizza criticamente e in senso genealogico le pratiche e le istituzioni entro le quali si costituisce e si riproduce la soggettività umana. La funzione critica e problematica della pedagogia generale è quindi rivolta all’intera costellazione dei fattori sociali che incidono sulla costituzione soggettiva dell’uomo. Possiamo dunque sintetizzare il senso della nostra metafora botanica nella formula seguente: la pedagogia si realizza attraverso tutte le scienze dell’uomo e della formazione, ma è sempre “eccedente” rispetto alla mera somma di queste discipline: questa eccedenza è appunto costituita dall’esercizio delle funzioni critiche e riflessive della nostra disciplina. Insomma - e per riprendere ancora la metafora – la pedagogia è l’intera pianta delle scienze dell’uomo e della formazione, ma di questa pianta essa costituisce un elemento distinto e funzionalmente autonomo: il fusto appunto, che apporta la linfa critica e ri-flessiva, e l’intenzionalità liberatrice, a tutta la pianta.

I giardinieri dissennati: il fusto vitale della pedagogia può essere abbattuto e trasformato in legna da ardere?
Con lo sviluppo delle scienze dell’educazione comincia il grande equivoco che rischia di essere fatale alla pe-dagogia. Da quel momento, molti giardinieri cominciano a comportarsi come giardinieri dissennati nei confronti della nostra pianta. Dimenticando che la linfa spirituale (la riflessione, la critica) giunge ai rami delle scienze dell’uomo e della formazione attraverso il fusto pedagogico, strappano tali rami dalla pianta, illudendosi di poter comunque godere a lungo dei loro fiori (le conoscenze) e dei loro frutti (le tecniche). Questi giardinieri si comportano dunque come se il fusto della pedagogia altro non fosse che un estrinseco supporto dei suoi rami, senza più curarsi del nesso dialettico che lega tutte le scienze dell’uomo e le scienze della formazione alle pratiche riflessive e critiche della pedagogia generale. Recisi i legami che uniscono i rami disciplinari alla no-stra pianta pedagogica, questi giardinieri dissennati, abbattono il fusto della pedagogia generale e ne scalzano le radici che lo legano al fecondo humus della riflessività critico-problematico.
Tutte le piante del giardino vengono dunque smembrate in rami disciplinari, con diversi oggetti di studio e specifici metodi di indagine. Ma in tal modo esse anche perdono la loro relazione con la propria matrice di-sciplinare (sia in senso cronologico sia in senso logico). Le scienze dell’uomo e della formazione perdono la loro relazione vitale con la pedagogia. E se ciò è, per certi versi un bene, in quanto comporta che le nuove di-scipline abbiano un certo grado di oggettività e precisione, comporta tuttavia anche il rischio che gli studiosi di tali discipline perdano di vista i limiti dei rispettivi approcci metodologici e la parzialità dei risultati che conse-guono. Ciascun approccio corrisponde infatti a un determinato punto di vista, che in quanto coglie alcuni a-spetti della realtà indagata, ne trascura inevitabilmente degli altri. Inoltre, la rescissione dei nessi tra le singole scienze e la loro matrice disciplinare – cioè, per quanto concerne le scienze dell’uomo e della formazione, la loro separazione dalla pedagogia generale - comporta il rischio che gli specialisti finiscano per ritenere impro-ponibile ed oziosa ogni domanda circa il valore e le finalità delle ricerche che essi realizzano negli specifici settori disciplinari. Può infatti accadere che gli studiosi delle scienze dell’uomo e della formazione volgano i loro sforzi verso obbiettivi inconsistenti, che non hanno alcuna relazione con gli scopi emancipativi della ricerca pedagogica. Ma se le discipline specialistiche restano ancorate alla prospettiva critica e riflessiva della loro matrice disciplinare – cioè, nel nostro caso, se le scienze dell’uomo e della formazione conservano i nessi vitali con una pedagogia generale critica e riflessiva (non ridotta a mera propedeutica o ricapitolazione e nemmeno ridotta a pedagogia sociale), i loro specifici obbiettivi di ricerca, i loro parziali oggetti di studio, i loro prospettici approcci possono ricomporsi in una visione d’insieme complessa (non sincretica, non schematica, non sommaria), una visione che per essere di sintesi non diviene tuttavia totalizzante, non scotomizza cioè le contraddizioni e gli scarti tra le visioni che si colgono dai diversi vertici disciplinari.
Che cosa fanno invece i giardinieri dissennati della nostra metafora? Strappano i rami delle scienze del-la formazione dal fusto pedagogico. Scalzano, quindi, le radici che legano il fusto pedagogico al fertile humus della riflessione critico-problematica, e lo lasciano disseccare (lasciano cioè che degeneri in discorso mera-mente retorico sui fini e sui principi dell’educazione o che si riduca alle banalità di certa pedagogia sociale), in attesa di poterlo finalmente ridurre in cenere (nel momento in cui si potrà giungere ad eliminare finalmente la pedagogia generale dai curricoli universitari e dai corsi liceali).
Ma in breve si rendono conto, i nostri giardinieri dissennati – o almeno così noi vorremmo che conti-nuasse la favola – di aver commesso una follia. I loro rami disciplinari, lungi dal continuare a prosperare, de-periscono anch’essi rapidamente, come il fusto pedagogico da cui provengono. Ammassati nel grande ma-gazzino, sulla cui facciata campeggia la scritta Facoltà di Scienze della Formazione”, trapiantati in angusti vasi colmi di terriccio, privati della linfa vitale – ovvero della riflessione critica, dell’analisi genealogica, della prospezione storica e di quella utopica, nonché di quella passione etica e politica che sempre dovrebbe animare (non meno della fredda acribia scientifica) la ricerca sull’uomo e sulla sua formazione – ecco che i rami di queste discipline specialistiche si trasformano a poco a poco in un groviglio di aride sterpaglie. E non solo la separazione dal fusto pedagogico e dall’humus critico è esiziale alla salute delle scienze della formazione, ma anche la separazione dai rami fratelli del più complesso sistema delle scienze dell’uomo e della vita. Si pensi, a tal proposito, ai modelli di sviluppo delle reti neurali umane, alle differenze tra l’uomo dell’oralità e quello della scrittura e in genere all’influenza che i media esercitano sull’intelligenza umana, alle molteplici forme in cui la produzione e la circolazione della cultura influenza la nostra soggettività, alle dinamiche relazionali e culturali entro le quali si sviluppano le differenze di genere, alle relazioni oggettuali entro le quali si formano le strutture di personalità, e poi anche alle varie emergenze formative provocate dalla odierna possibilità di manipolare il genoma, alla possibilità di automatizzare i processi vitali e intellettivi e alla possibilità di modificare la stessa biosfera.
Se lasciamo inaridire il fusto della pedagogia generale, quale disciplina ci consentirà di tener conto di tutta questa complessità problematica, che è certamente ricca di implicazioni relative alla formazione della soggettività umana? Quale disciplina ci consentirà di oltrepassare gli angusti limiti visuali delle cosiddette scienze della formazione? La filosofia ha già troppo da fare con le inesauribili trappole del linguaggio (Wittgen-stein) e con i problemi fondamentali della Storia dell’Essere (Heidegger). Tocca dunque alla pedagogia gene-rale affrontare in termini globali, ma pur sempre problematici – nel senso che Giovanni Maria Bertin dava a questa parola – e con riferimenti puntuali alla realtà obbiettiva rappresentata dalle scienze positive, i temi della formazione dell’uomo nell’Età della Tecnica. Tocca al pensiero pedagogico mantenere aperta la visione globale e critica della soggettività umana, quella visione senza la quale ogni conoscenza locale scade nella miopia.

Che cosa accade quando i giardinieri dissennati lasciano deperire il fusto della pedagogia e fanno ina-ridire i rami delle scienze della formazione?
Accade innanzitutto che alcuni spensierati visitatori del giardino (si chiamino essi ministri dell’istruzione, esper-ti disciplinari, tecnici della scuola, dirigenti-manager, docenti) s’illudano di potersi nutrire dei frutti che crescono sulle altre piante del giardino: ritengono cioè che il sapere disciplinare apporti l’alimento fondamentale (se non proprio sufficiente) per lo sviluppo della competenza pedagogica e in particolare per lo sviluppo della profes-sionalità docente. E accade altresì che questi stessi spensierati visitatori pensino che per completare la dieta pedagogica dell’insegnante sia sufficiente integrare il nutrimento di questi frutti disciplinari con qualcuno di quei frutti che crescono negli angusti vasi in cui il giardiniere dissennato ha trapiantato le scienze della formazione: ritengono cioè che un buon insegnante possa contentarsi di integrare la competenza disciplinare con quella psicologica e relazionale. Questa triste conclusione della favola è esemplificata dal tipo di formazione iniziale dei docenti progettato dal nostro Ministro dell’Istruzione .
Tra gli obiettivi della formazione iniziale dei docenti figura infatti, al primo posto, l’acquisizione di compe-tenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionali necessarie a far raggiungere agli allievi i risultati di apprendimento . La nostra disciplina qui compare in stretta associazione con la psicologia: la formulazione di quest’obiettivo fa riferimento alle competenze psicopedagogiche (non alla formazione pedagogica) del docente. Sembra dunque che per essere buoni docenti sia sufficiente conoscere le leggi dell’apprendimento e i principi di un insegnamento efficace, come se si trattasse soltanto di far rag-giungere agli allievi determinati risultati (magari formalizzati in termini di risposte attese). Campeggia qui la so-lita immagine riduttiva della pedagogia. Questa viene intesa come mero strumento di efficienza e di efficacia didattica, e non anche come conoscenza - problematica e critica – del contesto culturale in cui si inscrivono le pratiche dell’alfabetizzazione.
Tale contesto è infatti caratterizzato dalla confluenza e dal conflitto tra le molteplici forme di mediazione dell’esperienza (oralità, scrittura tipografica, nuove tecnologie della scrittura, tecnologie multimediali e telema-tiche) e tra le differenti forme simboliche (scienze, filosofie, arti, ideologie, culture e subculture). Qual è allora la funzione specifica della scuola, nell’incontro e nel conflitto tra le concorrenti istituzioni formative (formali e non formali) che operano nel sistema sociale? Quale mediazione tra l’oralità, la scrittura e le nuove forme me-diatiche può svolgere l’istituzione scolastica? Come rispondere ai processi di descolarizzazione che avanzano più o meno surrettiziamente nella società postmoderna? Come valorizzare l’apporto che le istituzioni extrasco-lastiche possono fornire alla scuola? A simili domande non possono rispondere né la psicopedagogia né la psicologia dei processi cognitivi. Domande come queste sono appunto squisitamente pedagogiche. Se evitia-mo di trattare i problemi posti da queste domande, in un corso di formazione iniziale per i docenti, ciascuno dei futuri insegnanti vi risponderà in forma irriflessiva e secondo le proprie idiosincrasie personali. Compito della cultura pedagogica è invece quello di problematizzare quelle concezioni che ciascun educatore tende a dare per scontate e tende a seguire implicitamente.
E tra le concezioni che andrebbero problematizzate vi sono anche quelle espresse da molti psicopeda-gogisti. Gli estensori del progetto ministeriale per la formazione dei docenti assegnano alla psicopedagogia - probabilmente senza rendersene conto, e forse identificandola con la stessa pedagogia - la funzione di chiarire le condizioni che consentono l’incontro tra il sapere disciplinare e la soggettività dell’allievo. Nel documento ministeriale leggiamo infatti che i futuri docenti della formazione primaria devono acquisire solide conoscenze nei diversi ambiti disciplinari oggetti d’insegnamento e la capacità di proporle nel modo più adeguato al livello scolastico, all’età e alla cultura degli allievi con cui entreranno in contatto [sic! Incontri ravvicinati del terzo tipo – verrebbe fatto di commentare!]. Ecco allora che il tema della soggettività umana emerge in questo testo in due chiavi soltanto: (1) la psicologia del discente, rispetto alla quale bisogna adeguare gli obiettivi, i metodi e le forme comunicative dell’insegnamento; (2) la competenza relazionale del docente, che deve saper entrare in sintonia con l’allievo, per incoraggiarlo e facilitarne l’apprendimento. Invece noi sappiamo quale poliedrica complessità manifesti il tema della soggettività nel contesto della cultura pedagogica, in quanto ci rendiamo conto che questo tema non può essere ridotto in termini riduttivamente psicologici, ma va inquadrato anche nei termini di una pedagogia generale operante all’interno di una complessa rete di retroazioni pluridisciplinari. Non vogliamo negare che la preparazione del futuro docente passi anche attraverso l’acquisizione di conoscenze psicologiche e competenze comunicative e relazionali. Vogliamo però ricordare che il buon docente è anche quello che sa scegliere e calibrare gli obbiettivi di insegnamento, i contenuti disciplinari e le strategie formative, non solo in relazione alle caratteristiche personali del discente, ma anche e soprattutto in relazione alle emergenze del contesto socio-culturale e socio-antropologico in cui opera e alle istanze di emancipazione e di liberazione che costituisce la missione fondamentale della scuola.
Ma a tal fine non bastano neppure le altre tre competenze professionali che il documento ministeriale prescrive ai futuri docenti: la competenza disciplinare, quella metodologica e quella organizzativa. Si tratta, a ben vedere, di quei fiori e quei frutti che – per riprendere il filo della nostra metafora narrativa - si possono co-gliere sugli altri alberi del giardino o sui rami trapiantati negli angusti vasi delle scienze della formazione. La competenza disciplinare si ottiene nutrendosi dei saperi e delle tecniche che si acquisiscono frequentando i corsi delle varie scienze umane e naturali. La competenza didattica (abilità comunicativa nell’insegnamento scolastico) e quella organizzativa (organizzazione dei fattori della formazione scolastica) si ottengono certa-mente alimentandosi di conoscenze e tecniche che si possono acquisire nei corsi di psicologia e psicopeda-gogia. Ma – come abbiamo detto – né le une né le altre sono sufficienti a far sì che l’insegnamento diventi fat-tore di emancipazione e di liberazione.
Il nostro giudizio si fa particolarmente severo a proposito del profilo formativo degli insegnanti di scuola secondaria superiore. La pedagogia sembra disperdersi, quasi dissolversi, all’interno di una molteplicità di di-scipline ritenute professionalizzanti, tutte (compresa la pedagogia) per altro raggruppate in un esiguo numero di crediti. Né l’attività di specifico tirocinio sul campo vale a nostro parere a compensare il deficit della forma-zione pedagogica in senso specifico.
Il senso della nostra metafora viene poi ulteriormente confermato dall’analisi delle Indicazioni program-matiche ministeriali del Liceo delle scienze umane. Dall’impianto curricolare risulta quasi completamente as-sente la pedagogia generale nella misura in cui, da una parte, sembra che si possa studiarla in chiave esclu-sivamente storica come se si trattasse di una forma di sapere ormai consegnata al passato, un campo disci-plinare a cui è possibile rivolgere uno sguardo meramente retrospettivo (un album di famiglia caratterizzato per altro da vistose assenze). D’altra parte, quel che resta della pedagogia risulta ridotto a una serie di tematiche psico-pedagogiche e sociali frammentate e non di meno lacunose.


Note

1 Schema di decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, recante regolamento concernente “Definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, ai sensi dell’articolo 2, comma 416, della legge 24 dicembre 2007, n.244”
2 Ivi, art. 2.
3 Ivi, Tabella 1 (articolo 6) Corso di laurea magistrale in Scienze della formazione primaria.